-OPULENTA SALERNUM-
Il regno dei principi longobardi continua mentre la città si espande nel commercio e nelle arti.
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-OPULENTA SALERNUM-
Il regno dei principi longobardi continua mentre la città si espande nel commercio e nelle arti.
[Leggi di più…] infoPRINCIPI LONGOBARDI DI SALERNO: 946 – 1077 d.C.by
L’egemonia longobarda iniziata come una conquista di territori bizantini durò vari secoli lasciando segni nella cultura, nelle architetture e nelle istituzioni locali; ma a sua volta la tribù germanica fu conquistata dalla ben più strutturata e complessa civiltà preesistente romana e bizantina.
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Il termine Normanno significa semplicemente “uomo del nord” e indica l’insieme di popoli che abitavano la parte centro-meridionale della penisola scandinava. Il termine Norreno, di pari significato, indica per estensione anche le popolazioni della penisola danese e delle isole baltiche. Il termine Vikingo invece attiene a quei gruppi di guerrieri norreni, uomini e donne, dediti a razzie, e ad atti di pirateria verso le navi e sulle coste dei mari nordici, ma parimenti pronti anche ai commerci e alle guerre di difesa contro i nemici.
I Normanni in Italia
I Normanni erano rimasti ben lontani dall’influsso dell’impero di Roma; vivevano in villaggi di capanne sulle coste scandinave, coltivando terre avare e fredde, e trovando nella pesca maggior sostentamento. I villaggi erano governati da uno “jarl”, un conte, che rispondeva ad un principe o ad un re non troppo invadente. L’indole guerresca e forse la voglia di facile conquista spinse i Normanni all’avventurosa e cruenta espansione nel resto del grande mondo a loro sconosciuto alla fine del 700 e per i trecento anni seguenti.
Questo popolo riuscì a imporsi in tutta l’area europea ed oltre, fondando dinastie e casati che ancor oggi ne vantano la discendenza.
Mercenari, temuti forse più dei Saraceni e considerati “nefandissima gens” i Normanni furono attori di un periodo di instabilità, guerre, saccheggi, tradimenti e voltafaccia tra i vari principi, duchi e signori locali, che a loro volta non esitavano a chiamarli per combattersi tra loro nel più ampio scenario della grande lotta tra il potere temporale e quello ecclesiale, conflitto che continuerà in tutta Europa nei secoli a venire.
Il klan Drengot Quarrel e il klan del vikingo Hialtt.
Il primo klan norreno a conquistare un signoraggio fu quello dei Drengot Quarrel che, dopo aver servito nel 1009, come mercenari della milizia del longobardo Melo di Bari, Duca di Puglia, riuscirono ad ottenere il Ducato di Aversa.
Immediatamente sulle orme dei Drengot, si afferma in Puglia un altro manipolo di norreni, proveniente da Hauteville la Guichard, villaggio del nord-ovest francese, fondato da un vichingo norvegese di nome Hialtt che gli diede il nome di Hialttvilla (Hauteville/Altavilla).
Il capostipite degli Altavilla in Italia, Guglielmo, dopo alterne vicende ottiene il ducato di Puglia e Calabria, stimolando le ambizioni del fratellastro Roberto il Guiscardo, che era sceso in Italia con altri mercenari, in cerca di fortuna e di un territorio.
Questo Normanno di Francia, di oscure origini e grande avidità, di possanza fisica e arguzia strategica, riesce con susseguenti alleanze e vassallaggi ad ottenere da Drogone, succeduto a Guglielmo, il comando della fortezza longobarda di Scribla al centro della Piana di Sibari, facendo accrescere la presenza e la potenza Normanna.
Dopo la sconfitta dei Longobardi e di Papa Leone IX nella Battaglia di Civitate (Foggia) i Normanni si affermano come nuovi conquistatori/difensori del meridione d’Italia. Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e di Calabria, assedia Salerno, che era rimasta fedele al Papato, ottenendo dall’ultimo Principe Longobardo, Gisulfo II, prima la mano della principessa longobarda Sikelgaita e in seguito la signoria sulla città.
Salerno diventa il maggior centro dei dominii del Guiscardo che subito inizia ad edificare il Duomo cittadino sulla tomba dell’evangelista Matteo, e la propria residenza: Castel Terracena.
Salerno capitale normanna
Il Guiscardo rende Salerno capitale dell’Italia meridionale e centro di potere politico militare.
Nel 1079 Roberto firma la pace con suo nipote Giordano di Capua; nel 1080 sposa a Salerno la figlia con Raimondo di Barcellona;
nel 1084, con un esercito di seimila cavalieri Normanni, libera Roma assediata da Enrico III e porta il Papa Gregorio a Salerno dove si consacra il Duomo a San Matteo Evangelista.
Ma il Guiscardo ha altre ambizioni e, tralasciando le cure del suo regno, si volge alla conquista dell’Impero Bizantino. Già aveva conquistato Durazzo, Corfù e Salonicco quando muore nel 1085, nell’isola di Cefalonia, mentre si preparava a marciare su Costantinopoli.
Con la conquista dell’ex Principato Longobardo da parte di Roberto il Guiscardo, già signore del Ducato di Puglia e Calabria e di gran parte della Sicilia, Salerno diventa nel 1077 la capitale di questo nuovo regno Normanno che va da Capua alla Calabria e rappresenta da un lato la riunificazione di territori di antica colonizzazione greca (Magna Grecia), dall’altra la fase embrionale del futuro Regno delle due Sicilie. E’ infatti con Roberto che si affaccia alla ribalta storica una nuova modalità di “signoria”.
Superato l’impianto coloniale e quello dell’impero romano/bizantino, il dominio territoriale era derivato, nel periodo altomedievale, da invasioni di intere popolazioni barbariche (Vandali, Goti, Longobardi, Franchi etc.) che si stanziavano nelle regioni italiche.
Questo processo determinava tra l’altro una assimilazione e commistione etnico/culturale tra ‘invasori’ e popolazioni preesistenti che si esplicava in signorie locali unite da una cultura comune.
Con Roberto il Guiscardo si delinea invece un potere staccato sia dalla etnia di provenienza sia da quelle conquistate; e nemmeno si configura l’instaurazione di una dinastia legata ad un preciso territorio ma si intravede la nascita di una signoria derivante dalla capacità a dominare del ‘casato’, i cui membri sono atti a regnare per se ipse su questo o quel territorio e su questo o quel popolo. Questo peculiare attributo sarà, nei secoli a venire il tratto distintivo che individuerà le Case Regnanti.
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La Casa Hohenstaufen viene denominata “di Svevia” perché aveva unificato e dominato quel territorio, che comprende una vasta area della Germania meridionale, dall’alta valle del Danubio, al Neckar ed arriva fino alla regione di Zurigo. La Svevia (Schwaben), fin dal I secolo a. C., era stata abitata, dai Suebi, raggruppamento etnico di tribù germaniche quali Marcomanni, Quadi, Longobardi, Burgundi e Alamanni; tutte quelle popolazioni vennero poi identificate come sveve o alemanne.
Il Casato Hohenstaufen assurge al soglio imperiale con Federico I il Barbarossa, ma il primo vero contatto tra gli Svevi ed il Meridione d’Italia avviene alla morte di Guglielmo II di Sicilia -ultimo normanno della discendenza di Tancredi d’Altavilla- quando Enrico VI Hohenstaufen, già consorte di Costanza d’Altavilla, e quindi genero di Guglielmo II, scende in Italia per rivendicare i troni di Sicilia, Puglia e Calabria.
Contro Enrico VI si schierano i Normanni di Salerno e Palermo che attribuivano il trono al normanno Tancredi di Lecce, figlio illegittimo di Ruggiero II d’Altavilla. Senza por tempo in mezzo Enrico VI assedia Napoli nel 1191 e Salerno, che cade nel 1194 subendo i conseguenti saccheggi, le devastazioni e le violenze da parte dei soldati invasori.
(Miniature tratte dal Liber Honorem Augusti composto da Pietro da Eboli sacerdote e medico filosvevo 1195/1196, opera custodita nella Biblioteca Civica di Berna). Pubblicazione della Provincia di Salerno: “Salerno: un Castello per la sua città”. AA. VV. a cura di Matilde Romito.
Nello stesso anno, con l’aiuto delle flotte di Pisa e Genova, Enrico VI invade ed occupa la Sicilia. Sibilla, la moglie di Tancredi di Lecce- morto improvvisamente sei mesi prima-, aveva tentato una resistenza all’assedio di Salerno con l’aiuto dei figli del cancelliere salernitano Matteo D’Aiello. Ma fu poi costretta a consegnarsi ad Enrico VI ed assistere alla sua incoronazione quale re di Sicilia nel Duomo di Palermo. Sibilla viene poi deportata in Svevia, col piccolo Guglielmo III, ultimo discendente della dinastia normanna. Ma Guglielmo viene accecato, evirato e rinchiuso nella fortezza di Hohenems nel Voralberg, per eliminare qualsiasi possibilità di successione Normanna. Così si delinea il destino della città di Salerno che, con i propri notabili cittadini si era schierata contro lo svevo.
Ma Enrico VI non tollera condivisioni di potere nei suoi possedimenti e da inizio, con la strage di centinaia di baroni normanni di Sicilia, attirati a corte con la promessa di amnistia, alla
dominazione sveva dell’Italia Meridionale. Con barbare esecuzioni e torture lo svevo da luogo alla sistematica eliminazione dei notabili normanni, i quali, a loro volta, sopravvivono in clandestinità conservando tuttavia il controllo del territorio nei mandamenti e nelle campagne siciliane e calabresi.
Enrico VI,riesce ad instaurare il proprio sistema di dominio feudale prima di morire nel 1197, seguito, nel 1198, dalla moglie Costanza d’Altavilla, ultima normanna del klan di Tancredi d’Altavilla.
L’unico figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, Federico Ruggiero, nato nel 1194, prende il nome dai nonni Federico Barbarossa e Ruggiero d’Altavilla, ma sarà noto alla storia come Federico II “stupor mundi”
Erede per metà svevo e per metà normanno venne partorito pubblicamente in Jesi da Costanza onde fugare ogni dubbio sulla sua discendenza, e poi incoronato, a soli tre anni, Re di Sicilia e Puglia ed affidato alla tutela di Papa Innocenzo III, reggente del Regno.
La città di Salerno, per circa un decennio, resta in potere del conte svevo Diopoldo Schweinspeunt, detto Diopoldo d’Acerra, già fedele vassallo di Enrico VI. Dalla propria rocca di Sarno il conte svevo tiene in scacco la città nel corso delle insidiose manovre dei vari potentati dell’epoca per l’egemonia sul trono del Sacro Romano Impero e sul Regno italico, rimanendo tuttavia fedele al casato Hohenstaufen, mentre il piccolo Federico cresceva, tra mille pericoli, nella corte palermitana.
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Di Salerno la Scuola al Re Britanno Scrive : Se vuoi tua sanità perfetta Ed immune serbar da tutti i mali, Scaccia le gravi cure, e non dar luogo All’ira passion truce, e profana, A’ calici di Bacco il labro accosta
Sobrio, e di rado, ad una parca cena Siediti, e sorgi in piè dopo la mensa, Su l’ore del meriggio al pigro sonno Non ti donar, non ritener l’orina, E la parte né men posteriore Comprimere tu dei, né farle forza.
Così osservando ben questi precetti Lungamente godrai vita felice.
Lava le mani e gli occhi sul mattino Sorto dal letto all’acqua fresca e pura; Indi le membra in un legger passeggio Muovi, e distendi, e l’incomposito crine Col pettine rassetta, e purga i denti.
Il celabro da ciò sia confortato, E ogni altro membro prenderà vigore.
Difenditi dal freddo allor che uscito Sarai dal caldo bagno; e dopo il pranzo Alzati, o stando in piedi, o a lento passo Movendoti pian piano, e sempre avverti Di star lontano dal soverchio freddo.
Saran grati, e del par utili oggetti, Alle pupille tue del chiaro fonte, La pura cristallina onda cadente, Il terso specchio, e del giardin, del pratoLe piante amene, e l’erbe verdeggianti;
Sul mattino pertanto il piede , e il guardo Rivolgi a i monti, e su la sera ai fonti.
Dormirai nel meriggio o nulla, o poco; Il sonno meridiano è la sorgente
Onde nascon la febbre, e la pigrezza, E la doglia di capo, ed il catarro.
Insegna la maestra esperienza, Che da’ flati nel ventre trattenuti,
Quattro sogliono uscir acerbi mali: L’impetuoso moto convulsivo, L’acquosa sitibonda Idropisia, La dolorosa colica, e la sempre Ne’ giri suoi vertigine incostante.
Di lauta cena apporta il cibo grave, A stomaco indigesto, assai di pena:
Se la notte dormir sonno soave Tu brami, usa frugale, e parca cena.
DISPOSIZIONE PRIMA DI INGERIRE IL CIBO
Mai non mangiar, se dai mal nati umori Prima non hai lo stomaco purgato,
E libero dal cibo antecedente; Di ciò ti accorgerai dall’appetito,
Che col suo salivar aqueo sottile Ti stimoli al desio di nutrimento.
EVITARE I CIBI CHE PRODUCONO MALUMORE
Il Pesco, il Melo, il Pero, il Latte, il Caccio, E la Carne salata, e la Cervina,
Quella di Lepre, e quella ancor di Bue, E la Caprina esaltan l’atrabile.
Ed agli infermi son di nocumento.
L’uova fresche, il vin rosso, e il brodo grasso Misto col più bel fior della farina
Del miglior grano, sono un alimento Profittevole di molto alla natura.
Cibi sono incassanti e nutritivi, Il bianco pane di frumento eletto, Il pero fresco, latte appena uscito Dalle poppe di capra ben pasciuta, E quello che del provvido Pastore, Unì l’arte maestra, e in cerchio strinse, Recente, che di sal non anco è sparso, E quella parte senza cui è inetto Al generar ogn’Animal, la carne Del giovane dimestico majale,
E il celabro sucoso, e la midolla, Il dolce amabil vino, e ogn’altro al gusto Più grato cibo, e l’uova atte a sorbirsi, E i Fichi ben maturi, e l’Uva fresca.
I vini dall’odore hanno il lor pregio, E dal sapore, e dalla limpidezza, E dal colore, e sono i più perfetti, Che tu possa bramar, que’ che potenti Trovi, e belli, e fragranti, e freddi, e lievi, Sicché lo spirto in lor si riconosca.
Il bianco e dolce vino ha più d’ogn’altro Facoltà d’impinguare il nostro corpo.
Se si beve talor troppo vin rosso Il ventre si ristringe, e si conturba La voce chiusa tra le rauce fauci.
Per antidoti contro i rei veleni, Efficaci saran l’aglio, la ruta, La pera agreste, il rafano, le noci, La di tanti composta ingredienti Teriaca d’Andromaco famosa.
Scegli per abitar l’aere che sia Lucido, non di nebbia oscuro intorno, Non di vapori impuro, non infetto Da pestiferi effluvi, e da mal nati Aliti di materie adre, e fetenti.
Se di notte bevendo a lauta cena Ti nocquero talor le numerose Tazze linnee di preto vin ripiene,
Ritorna nel mattino susseguente A bere, e quel liquor fia medicina.
Quanto è migliore il Vin, che bevi, tanto Migliori in te genererà gli umori,
Schiva di bere il nero, egli è ripieno Di terree particelle, onde più pigro il corpo rende, e non ben atto al moto:
Tu solo pregierai quello ch’è chiari, Di molt’anni, sottile, e ben maturo, Temprato, e co i minuti suoi zampilli Spruzzante gli occhi, e sovra tutto poi Moderato nel beverlo tu dei.
LA CERVOGIA ( SPECIE DI BIRRA )
La Cervogia scerrai per tua bevanda, Ch’acido in sé non abbia, e sia ben chiara, E fermentata bene, e di buon grano, E purgata col tempo dalle feccie.
Con tal sobrietà tu la berrai, Che non ti sia lo stomaco gravato.
Nella bella Stagion di Primavera, Fa che i tuoi prandi sien parchi, e frugali, E sappi ancor, che nella calda State, Nocivi sono i cibi immoderati,
Ma più nocivi ti saran quei frutti Co’ quali ti lusinga Autunno adulto; Allora poi, che giunge il pigro Verno, Siedi senza timore a lauta mensa.
COME RENDERE SALUTIFERE LE BEVANDE
Renderanti salubre le bevande, E la Salvia, e la Ruta in esse infuse, E se a questi aggiungerai le Rose, A Venere porrai freno potente.
Chi pria di porsi a navigar il mare L’onda salsa berrà mista col vino, Fra le procelle ancor del nauseante Vomito impetuoso andrà sicuro.
Le salse che userai per condimento, Della tua mensa ai tempi accomodate,
Saran la salvia, il sale, e l’acetoso Vino, e il pepe mordace, l’aglio, e l’appio.
Dopo la mensa lavati le mani, E ne conseguirai due beneficj,
Le monderai, e in tergerti con quelle Gli occhi, la vista renderai più acuta.
Il pane che userai caldo non sia, Qual è dal forno di recente estratto,
E di troppo né men sia vecchio, e duro, Ma fermentato, e a guisa di una spugna,
E occhiuto, e leggero, e sia ben cotto Con poco sal, di gran maturo eletto,
Di tal sorta, e non d’altra è sano il pane, Di cui la crosta lasciar dei, che genera Malinconici umori, adusta collera.
Della carne di pecora è peggiore La porcina, qualor senza ber vino La mangi, ma divien, se la correggi Con esso, ottimo cibo, e Medicina.
Miglior son del porco gl’intestini In paragon di quei d’altri animali.
Impedisce l’orina il mosto, e presto Scioglie il ventre, del fegato è nocivo
Al buon temperamento, e della milza, E i calcoli, e la pietra ancor produce.
L’acqua è di pregiudizio alla salute In mangiando bevuta, e quindi nasce
Frigidezza allo stomaco, e ogni male, Che ivi suol cagionar cibo incotto.
La carne di vitello assai nutrisce.
LE CARNI DEI VOLATILI, LE PIU’ IDONEE
Buon cibo è la gallina, ed il cappone, La tortora, lo storno, e la colomba,
La quaglia, il merlo, e il raro augel di Faso, La coturnice, la pernice, il tordo.
Sceglierai il maggior de’ pesci molli, Ma de i duri il maggior non ti satolli.
Se mangerai le Anguille, proverai Alla voce non piccola lesione Per testimonio dè Fisici dotti.
Son dannose le anguille, ed il Formaggio, Se nel mangiarli non bevi e ribevi.
Biasimo, e lode si dar si dee al pisello Che se lo mangerai colla corteccia Ti gonfierà, e ti sarà nocivo;
Ma della pelle se lo spoglierai, Dannoso non sarà, ma buono assai.
Monda, penetra, e lava, e incide il siero.
Di capra il latte a’ Tisici è assai buono Poscia quel di cammello, e nutritivo
Più d’amendue è quello di giumenta, E più di questo nutre quel di vacca,
E il pecorino; e se la febbre vi sia, E il Capo dolga, fuggir tutti dovrai.
Quando non vi sia febbre, e bagna e scioglie Sempre il butirro, e mitiga le doglie.
Fa che il vino, che bei, sia mescolato In poca quantità colla vivanda, E fa che l’uovo sia tenero, e fresco.
Penso di essere assai comodo a i dotti, Poiché accresco vigore a i fiacchi stomachi,
E giovo molto pria del tempo quando Lubrico è il ventre, che, se è poi restio
Dopo ogni cibo allor utile sono, E di tanto dà fede il saggio Fisico.
E poco, e spesso tu berrai nel pranzo, Ma nulla poi berrai da pranzo a cena.
Tu nel cenar pria di mangiar berrai, Se brami sano mantenerti assai.
Dopo i pesci le noci, e il cacio prendo, Dopo la carne una sol noce è buona, Due son nocive, e tre danno la morte.
E se come avvien spesso io prendo l’uova Il ber del miglior vin assai mi giova.
Son farmaco al velen sempre le noci: Però non mangerai se poi non bevi;
Poiché senza del bere egli assai nuoce. Crudo è veleno, e medicina è cotto,
Cotto solleva, e crudo aggrava i stomaci; E il pomo a far fluido il ventre è ottimo.
La cerasa assai purga il grave stomaco E i nocciuoli di lei scaccia la pietra, E ancor fa nelle vene ottimo sangue.
Giovan le prugne rilassanti e fredde.
DEL PERSICO, DELL’ UVA E DELL’ UVA PASSA
Il Persico col mosto è molto buono, E i grappoli dell’ uva colle noci.
Alla milza è contraria l’uva passa, Giova alla tosse, e per le reni è ottima.
Le Scrofole, le glandole e i tumori, Cogli empiastri di fico si guariscono;
E il papavero unito estrae fuori Dell’ossa infrante le minute schegge.
Cresce le orine, e il ventre stringe il nespolo, Che piace duro, e ch’è miglior s’è tenero.
Il mosto impelle, e provoca le orine, Presto discioglie il ventre e i flati genera.
LA CERVOGIA (SPECIE DI BIRRA) L’ ACETO
Nutre gli umori crassi, e forza accresce, Dona aumento alla carne, e il sangue genera, Le orine muove, e il ventre molle, e gonfio
Rende, e raffredda alquanto la Cervogia. Più dissecca l’aceto e infragidisce, Fomenta il malinconico, ed emacera, Sminuisce lo sperma, e i secchi nervi Molto travaglia, e i pingui corpi dissecca
Fa che nella tua mensa il sal vi sia, Poiché scaccia il veleno ed assapora Le insipide vivande; e i salsi cibi
Minoran però il seme, e il viso accendono, Sono cagion di scabie, e di prurito.
Acuisce la vista, e monda i denti Il pane in vino, e assai nutrisce il corpo, E gli umori peccanti sminuisce.
Consiglio a tutti l’ osservar la dieta, Il lor servando consueto vivere, Purché necessaria non sia mutarlo; la mutazione repente al dir d’Ippocrate In noi cagiona repentini mali:
La dieta poi del medicar è mèta, E chi lei non apprezza, ancorché sano, Mal regge, e infermo poi non ben si cura.
Nel cibo acciò non erri il dotto Fisico Ciò attento osservar dee, quanto e qual sia, Di che sostanza, e quando deesi prendere, E quante volte il giorno, e in che luogo.
Purga il decotto, e la sostagna strigne Del caulo; ma se l’uno, e l’altro è dato Tosto dispone il ventre a rilasciarsi.
Che la malva ammollisca il ventre, il dissero Gli antichi, la di lei rase radici Sciolgon le fecci, e il mestrual flusso muovono.
Ad uccidere i vermi non è lenta Del ventre, e dello stomaco, la Menta
Morir non dovrai l’uom, ch’ave la Salvia Balsamo a i mali, ognor nell’orticello;
Ella i nervi conforta, ed il tremore Toglie alle mani, e le più acute febbri Fuga, ed ella, il Castoreo, e la Lavanda, L’atanasia, il Nasturzio, e Primavera Sanan tremoli membri;
e infin la Salvia Dalla fecondità della salute, Che dona alla salute, il nome trae.
Giova la ruta agli occhi, e fa la vista Assai acuta, e scaccia la caligine. Nell’ uom Venere affredda, e nella Donna Assai l’accende, e fa l’ingegno astuto.
E acciò, che non vi dian le pulci tedio Ella, o donne, è un ottimo rimedio.
Differente de’ Medici è il parere Intorno alle cipolle, poiché buone Non essere al colerico Galeno Lo disse, ed a’ flemmatici salubre Per lo stomaco sane il disse Asclepio, E aumentatrice del color del volto, Che dan al nudo capo i suoi capelli.
La senape è un granello e secco, e caldo, Che purga il capo, e provoca le lagrime, Del veleno mortal farmaco valido.
Scaccia la crapula, e il dolor di testa La viola purpurea e il mal caduco.
Concilia il sonno agli egri, e toglie il vomito La pungitrice urtica, e i di lei semi Giovan misti col mele a’ dolor colici:
Frena bevuta poi l’antica tosse, Il freddo de’ polmoni, ed il tumore Del ventre scaccia, e sempre ella sovviene A tutti i gravi articolar dolori.
Purga l’issopo delle flemme il petto, Cotto col mele il polmone asterge, Dona un esimio, e bel colore al volto.
Trito col mele il cherefolio i cancri Cura; col vin bevuto il duol de’ lati Toglie. Il vomito spesso, e il ventre fluido, Se l’erba pesta unisci a lui raffrena.
Sana i precordi l’Enula campana, E col sugo di ruta il di lei sugo Misto, e bevuto alfin l’ernia guarisce.
IL PULEGGIO (SPECIE D’ERBA ODOROSA )
Col vin bevuto l’atrabile espurga Pulegio, e toglie la podagra antico.
Il sugo di nasturzio il corso frena A i crini, e toglie il duol de’ denti, e purga
Col mele ugnendo le cutanee squame.
A’ ciechi figli suoi la Rondinella Dona la vista colla Celidonia, Ancorché sien senz’occhi, il disse il Plinio.
Di salce il sugo posto nelle orecchie Uccide i vermi, e la di lui corteccia Cotta in aceto le verruche scioglie. Talmente il di lui fiore infrigidisce Preso coll’acqua, che seccando Venere
Toglie affatto il creare, e il concepire.
Ricreando conforta il croco, e i membri Fiacchi ristora, e il fegato ripara.
Rende feconde le fanciulle il porro; Con lui ugnendo dentro le narici Facilmente potrai fermare il sangue.
Il pepe nero non è a scioglier pigro, purga le flemme, e per concuocer vale, Ai dolori, allo stomaco, alla tosse Giova di molto, e previen anco, e toglie Dell’aspra febbre l’accessione, e il freddo.
L’Ebrietadi, e il dormir troppo, e il muoversi Dopo del cibo gravano l’udito.
Il suono sento spesso nell’ orecchie E per il moto, e per la lunga fame, Per freddo, per caduta, e per percosse, E per l’ebrietade, e per il vomito.
Venere, i bagni, il vino, il pepe, il vento, Il fumo, e l’aglio, e colla cepe il porro, La fava, il pianto, il senape, e la lente, Il Sole, il coito, la fatica e il fuoco, Il vigilar, la polve, e l’acre cose, Ahi quanto recan danno agli occhi nostri.
Assai giova il finocchio, e la verbena, La Celidonia, la ruta, e la rosa Distillandone l’acqua al mal degli occhi.
Abbrunerai col Jusquiamo il grano Del porro, e il fumo poi nè guasto denti Di ricever procura, e sarai sano.
La Noce, l’Olio, e della testa il freddo L’Anguilla, il Pomo crudo, e il troppo bere, in noi son cagion della raucedine.
Il digiun, la vigilia, e i cibi calidi Lo spirar l’aer caldo, e il poco bere, il comprimere i flati, per depellere Al reuma giova; che se al petto portasi, egli col nome di catarro appellasi, Bronco alle fauci, ed alle nari coriza.
E solfo, e calce, e arsenico, e sapone Unisci, se guarir brami le fistole.
Se il duol di capo dal ber troppo vino Nasce, si bevi l’acqua; e il bever troppo Spesso cagiona in noi le febbri acute:
Se la cima del capo, e pur la fronte Da calore eccessivo è travagliata, Si freghi spesso, e moderatamente, Indi con acqua calda di mortella Si lavi, e ciò dicon che giovi assai.
Ne’ tempi estivi dissecca il digiuno:
In ogni mese qualche volta il vomito Giova, poiché gli umor nocivi purga, Che lo stomaco in sé tiene racchiusi.
Inverno, Autunno, Primavera e State Regolan l’anno;
un aer caldo, ed umido Porta la Primavera, e questo tempo Per la Flebotomia meglio è d’ogn’altro, In cui la soluzione del ventre, ed il moto E Venere, e il sudore, e i bagni denno Essere moderati, e in cui pur deesi Purgare i corpi colla Medicina.
La State poi assai riscalda, e dissecca, E fa che in noi la flava bile domini;
Il cibo in un tal tempo umido, e freddo Esser dee, e da noi Venere lontana Starsi, né allora a noi giovano bagni, Ma sol la quiete, e il moderato bere.
L’Uomo d’ossa dugento, e diciannove E di trentadue denti, e di trecento Sessantacinque vene egli è composto.
Nel corpo umano quattro sono gli umori, Sangue, collera, flemma ed atrabile;
All’atrabil la terra corrisponde, L’acqua alla flemma, e l’aer puro al sangue, E la forza del fuoco alla bil flava.
L’uomo sanguigno di natura è pingue, Faceto, allegro, e di novelle vago, Cui piace assai Venere, e i cibi, e il vino, Sempre loquace, ilare e ridente, Atto ad apprender ogni studio, ed arte, Che non si muove facilmente all’ira, Amante, liberale e rubicondo, Benigno, audace, e di be’ canti amico.
La Colera è un umore che conviene All’Uomo impetuoso, il qual desidera. Nudrido da superbia, avanzar tutti, Che facilmente apprende, e molto mangia, Che presto cresce, e che uno spirto nutre Liberale, e magnanimo, e d’onori, E di grandezze sempre mai fornito, Di natura fallace, ed iracondo, Prodigo, irsuto, audace, astuto, e gracile, E secco, e di color pallido in volto.
Di fiacche e infermi forze è l’Uom flemmatico Largo bensì, ma di statura breve, Pingue la flemma il fa, mediocre il sangue, Poco allo studio, e assai dato all’ozio, Tardo di moto, e in un di poco ingegno E pigro, e sonnolento, e sputacchioso, E d’un color quasi di neve in volto.
Pessimo e invidioso è il malinconico, Di poche ciance, e in un di poco sonno, Pronto ad apprender facilmente i studi, Costante, timoroso, invido assai, Cupido, avaro, e tristo, e frodolento, E di un terreo color sempre coperto.
Il color nostro dagli umori nasce, La Flemma rende per lo più l’Uom bianco, Il sangue rosso e la bil flava rufo.
Rosseggia il volto, allorché il sangue è in auge, Fansi gonfie le gote, e gli occhi tumidi,
Tutto diviene il corpo grave, e il polso Rendesi in un frequente, e pieno, e molle,
Nasce un grave dolor principalmente In su la fronte, e si costipa il ventre, Arsiccia vien la lingua, e sitibonda, L’acre par dolce, e dolci son i sputi, E i sogni non son che di sangue.
Il dolor della testa, e l’aspra lingua Il suon d’orecchi, ed il frequente vomito, La vigilia, la fame e in un la sete, Del cuore i morsi, il vuotamento, il duolo Di ventre, il duro, gracile, e veloce E caldo polso, l’amarezza, e l’arido, La nausea, e i sogni d’alti incendj, sono Segni che in noi la flava bile abbonda.
Se la flemma nel corpo umano eccede, Fa insipida la bocca, e spesse noie,
E scialive, e dolori in noi cagiona, E di costa, e di stomaco, e di nuca, Fa raro il polso, e tardo e molle, e vano E con fantasmi d’acqua il sonno assale.
L’ECCESSIVA MALINCONIA
L’Uomo che abbonda di malinconia Ha nera cute, duro polso, e orina Tenue, sempre da sollecitudine Invaso, e da timore, e da tristezza, Cui l’orecchia sinistra, e suona, e sibila, I cui rutti son acidi e acquosi, I sputi sempre, e i sogni son di terra.
Si dice che l’acetosella stringa ogni specie di flusso; lo scorpione non pungerà chi con sé la porta.
Scioglie il flemmatico petto, ed espelle il veleno: giova ai polmoni, e toglie il gonfiore della milza, offre aiuto nelle febbri, ed è efficace contro i veleni.
L’agrimonia cura i dolori degli sciatici e degli occhi : il suo unguento sana gli scrofolosi segni del collo.
L’aneto allontana la ventosità, e riduce i tumori; ai fanciulli svuota il ventre ripieno.
L’aniso rischiara la vista, rafforza lo stomaco; il migliore aniso è quello assai dolce.
L’artemisia bevuta facilita l’orina, e toglie la pietra ; se si beve soltanto o la verde erba pestata si applica alle parti pudende e si pone sul ventre espelle l’aborto.
Il carvo provoca l’orina, ed espelle le ventosità: uccide i lombrichi, aiuta la digestione.
Da quando il carvo abbandonai non fui senza febbre.
Alla fetida bocca, allo stomaco, e al cuore sofferente, ai cardiaci, la cassia arreca molti vantaggi.
Ristora i nervi ed il petto, espelle la seconda, guarisce le ferite, rende la vista più acuta;
la radice pestata rimargina la carne incisa.
Pestato e col miele applicato sui tumori è medicina; bevuto col vino il dolore ai fianchi spesso è solito lenire ;se l’erba di cerefoglio pestata tu poni sul ventre, spesso suol frenare il vomito, e le sciolte visceri.
Si dice che il croco conforta e arreca letizia, rafforza le membra indebolite, dando ristoro al fegato.
Il croco conferisce al cibo sempre grato profumo, toglie ogni fetido odore, e allontana il desiderio dell’amore.
Lo zenzero zuccherato toglie la frigidità dello stomaco, del torace, dei reni, e arreca sollievo;
mangiato al mattino efficacemente purga il petto, lo addolcisce e scaccia la flemma dai reni;
chiarifica la vista mangiandolo spesso, essicca gli umori e allontana l’afflusso di sangue al cuore,aumenta il calore dello stomaco e facilita la digestione.
Lo zenzero purga lo stomaco e ristora il cervello; allontana la sete e spinge i giovani all’amore.
L’acaristo sana la tosse, l’asma, il catarro, l’artritico flusso di ventre prodotto dal freddo; l’emottisi, i dolori delle articolazioni e le malattie prodotte da eccessivo freddo fugarono l’acaristo.
L’apostolico estrae le sceglie di ferro, mitiga le sofferenze dei reni, fuga il dolore prodotto dall’essudato della ferita, e restringe la larga cicatrice.
L’atanasia stringe i flussi del ventre, frena i mestrui, allontana le cause dello sputo sanguigno e i flussi di sangue,
fortemente frena le emorragie nasali; per i flussi di sangue, la gotta, il dolor di capo, il diabete, la gonorrea, l’atanasia è salutare; la sua bevanda giova nella dissenteria.
La dirai candida perché purga i bianchi umori; sana l’invecchiato dolore del capo e degli occhi; guarisce la lippa, la paralisi e il morbo caduco;
l’idropisia, la tigna, la tisi, la milza, la cefalea, i nervi indeboliti, gli occhi cisposi, l’epilessia, questi mali cura un moderato uso della blanca.
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Durante il regno di Ruggero I Borsa succeduto al padre Roberto d’Altavilla, l’influenza della città di Salerno continua ad ampliarsi e Castel Terracena è sede della Corte Ducale. I Normanni del casato d’Altavilla dominano sull’Italia meridionale e sulla Sicilia ma il loro dominio è continuamente insidiato.
[Leggi di più…] infoSIGNORIA NORMANNA DI SALERNO E DI SICILIA: 1100 – 1181 d.C.